Il Pensiero della Coscienza
La coscienza (dal latino, essere consapevole) è appunto la consapevolezza che l'uomo ha di se stesso, non è un terrmine che si può propriamente definire in quanto ogni sua definizione lo implicherebbe.
La si può descrivere come un atto interiore al soggetto nel quale lo spirito umano intuisce con immediatezza i suoi stati affettivi e le sue attività (percezioni, intellezioni, volizioni ecc.) sperimentandole come proprie e distinguendole tra loro e da se stesso.
La coscienza, dopo la formulazione dell'imperativo socratico: "Conosci te stesso", è via via divenuta il problema centrale della filosofia, e la linea di demarcazione fra correnti diverse di pensiero.
In Platone e nel neoplatonismo, la coscienza attesta la trascendenza dell'anima che sà di sapere, che conosce da se stessa e mediante se stessa; per Aristotele, invece, la coscienza è funzione che unifica le sensazioni degli altri sensi, ed è un senso interiore che avverte le sensazioni come proprie.
In Sant'Agostino, la coscienza diviene la fonte della certezza contro il dubbio accademico "Se m'inganno, sono"; la coscienza è autoaffermativa, ed elimina il dubbio scettico.
Un ruolo ancora più importante assume la coscienza di Cartesio, secondo il famoso principio "Penso, dunque sono", in cui la coscienza viene intesa come realtà autosufficiente e immediata.
Nell'etica la coscienza è la stessa filosofica considerata in rapporto ai valori di bene e di male, come potere proprio dello spirito umano di avvertirli e di esprimere un giudizio su azioni determinate in ordine ad essi; così se un'azione è avvertita dalla coscienza come conforme alla legge di bontà, è giudicata buona, se invece è avvertita come difforme da essa, è giudicata cattiva.
Tale giudizio si manifesta come imperativo che comanda o che proibisce quando si tratta di un'azione da compiersi, mentre si esprime con approvazione gioiosa o come rimorso quando si tratta di un'azione già compiuta.